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Uso di dati pubblici e fan page social: un aspetto poco compreso della protezione dati


lunedì 17 maggio 2021
Avv. Gianni Dell’Aiuto





Accade piuttosto spesso che, nel corso di una delle ancora troppe telefonate che riceviamo, nonostante le sanzioni già emesse dal Garante, alla richiesta di conoscere “Come avete avuto il mio numero di telefono?” tra le farfuglianti giustificazioni dell’operatore possiamo trovare quella fornita principalmente a imprenditori e professionisti troviamo “E’ un dato pubblico possiamo usarlo.” Sicuramente la circostanza che i recapiti telefonici e gli indirizzi mail di aziende, commercialisti, avvocati e altri professionisti sono pubblici perché trovati in albi o pagine web è vera, ma allo stesso modo è vero che mettere a disposizione il proprio telefono o una email di contatto non autorizza in alcun modo ad usarli per comunicati o promozioni commerciali.

Lo stesso problema si pone, se possibile con maggiore delicatezza, sulle pagine social e, in particolar modo, per le popolarissime fan page che, specialmente sui Facebook sono tra gli strumenti più utilizzati da aziende e professionisti per farsi conoscere e aumentare il proprio bacino di utenza. Non dimentichiamo, infatti, che anche un like su una pagina o un post è elemento che permette di conoscere chi lo ha messo e, magari unendolo ad altri elementi facilmente reperibili in rete, profilarlo per individuare le sue preferenze. Un’attività tra quelle a cui, maggiormente, il GDPR cerca di mettere un freno per tutelare gli utenti dalle invasione della propria privacy.

L’articolo 6 del Regolamento pone infatti chiari limiti per questi dati che sono utilizzabili laddove funzionali ad adempiere obblighi legali gravanti sul titolare ovvero, se non funzionali, quando questi siano necessari per l’esecuzione di un contratto (esecuzione, dice la norma, non proposta o offerta) e ricordiamo anche che una forma di consenso espressa è sempre necessaria. Il GDPR non prevede alcuna forma di silenzio assenso. Queste osservazioni devono essere anche alla base di ogni forma di trattamento dei dati messi a disposizione sui social network e, in particolare, proprio sulle fan page, alle quali accedere e commentare rivela gusti e preferenze dell’utente se non addirittura un pensiero politico o l’orientamento sessuale di una persona.

Inoltre Facebook mette a disposizione del gestore della Fan Page la possibilità, tramite cookie e insight, di venire a conoscenza di numerosi dati personali per capire chi compone il pubblico della pagina, da dove proviene, quale età ha e a quale sesso appartiene, oltre ovviamente alle sue preferenze. È proprio questo lo strumento che serve per poter creare campagne pubblicitarie mirate. Allo stesso modo vengono utilizzati i risultati dei test e sondaggi di opinione che molte aziende lanciano sempre sui social. Mettere in rete quello che sembra un sondaggio lanciato da un qualsiasi utente è un modo ideale ed economico, ancorché subdolo, di venire a conoscenza di gusti e preferenze dei propri potenziali clienti.

In tutto ciò il Titolare del trattamento di dati che un utente crede di avere concesso solo a Facebook diventa anche il gestore della fan page, che imposta i parametri del trattamento ad obiettivi di gestione aziendale determinandone le finalità; lo stesso gestore può chiedere di ricevere da Facebook, in forma anonima, i dati raccolti dai cookie per finalità di webtracking.

Sul punto si è pronunciata la Corte Europea che, in una sua sentenza, ha di fatto nominato l’amministratore di una pagina fan di Facebook responsabile del trattamento insieme a Facebook dei dati che quest’ultima raccoglie e mette a sua disposizione. Il Gestore della pagina dovrà quindi procurarsi una valida base di trattamento per poterli utilizzare e creare le campagne mirate di advertising.

Si ravvisa quindi la necessità di prevedere privacy policy anche per le fan page per creare una valida base di trattamento e non incorrere nello stesso errore di chi ritiene i dati resi pubblici liberamente utilizzabili.




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