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Insulti all'azienda su Facebook: per la Cassazione il licenziamento è legittimo


giovedì 14 ottobre 2021
di GDPRlab.it



La Corte di Cassazione ha stabilito, con la sentenza 27939 del 13/10/2021, che è legittimo il licenziamento di un dipendente che ha insultato e criticato più volte i propri responsabili e manager su Facebook. Viene così respinto il ricorso presentato da un account manager di TIM e confermata la decisione della Corte di Appello di Roma che, nel 2018, aveva già respinto il ricorso contro il licenziamento del lavoratore, impiegato nella "Gestione della comunicazione pubblicitaria nazionale ad uso locale", confermando la validità della "giusta causa" del licenziamento. In secondo grado infatti il giudice aveva indicato come "gravemente offensivo e sprezzante" il contenuto del post pubblicato e delle 3 email inviate contro i vertici aziendali e verso le sue dirette superiori.

Contro la decisione del giudice di secondo grado, il lavoratore aveva presentato ricorso, adducendo a sua difesa il fatto che l'acquisizione dei post contro i vertici aziendali fosse illegittima perchè tali contenuti avevavo limitazioni, ovvero erano riservati agli amici. I giudici cassazionisti però hanno specificato come "premessa l'esigenza di tutela della libertà e segretezza dei messaggi scambiati in una chat privata, nella fattispecie non sussiste una tale esigenza di protezione di un commento offensivo nei confronti della società datrice di lavoro diffuso su Facebook". Il mezzo usato infatti, ovvero il profilo personale sul social network Facebook, è "idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone". Insomma, quanto pubblicato sui social può potenzialmente circolare ovunque e non ci sono impostazioni privacy che tengano.

La parte datoriale aveva indicato, tra i motivi del licenziamento, anche l'insubordinazione grave sottolineando come il dipendente non avesse affatto disconosciuto i contenuti pubblicati e come fosse così stato irrimediabilmente lesionato il legame di fiducia tra le parti, considerato anche il ruolo del dipendente, ovvero quello di Account Manager.

Sul tema dell'insubordinazione, anch'essa presentata a supporto del licenziamento del lavoratore, la Corte ha specificato che "la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori, ma si estende a qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicarne l'esecuzione nel quadro dell'organizzazione aziendale": è cioè da intendersi in senso ampio. Quindi, prosegue la sentenza, "la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall'obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana riconosciute dall'art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all'organizzazione aziendale, dal momento che l'efficienza di quest'ultima riposa sull'autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi ed essa risente un indubbio pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli".

Detto in parole semplici, per la Cassazione l'insubordinazione non si limita al rifiuto di adempiere alle indicazioni e disposizioni dei superiori, ma vi rientrano anche quei comportamenti che possono pregiudicare l'esecuzione di tali disposizioni nel quadro dell'organizzazione aziendale. Le critiche eseguite tramite mezzo "pubblico", ovvero il social, e con toni esorbitanti, oltre a contravvenire alla tutela della dignità della persona, possono arrecare pregiudizio all'organizzazione aziendale e quindi rientrano, conferma la Corte, entro il concetto di Insubordinazione.




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