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Demenza digitale e analfabetismo: i rischi che corrono i giovani


giovedì 16 febbraio 2023
di Avv. Gianni Dell'Aiuto



 

Si rischia un impatto più grave di quello che il riscaldamento globale può avere sull’ambiente.

Le scuole pubbliche di Seattle hanno intentato una causa contro TikTok, Instagram, Facebook, YouTube e SnapChat. L’accusa? Le aziende citate sono responsabili dello stato psicofisico degli adolescenti che hanno manipolato con strategie volte a creare assuefazione, se non una vera dipendenza da social gli utenti. Disturbi alimentari e del comportamento, ansia, depressione, cyberbullismo e altro sono solo alcune tra le conseguenze di un eccessivo e non corretto uso dei social.

In attesa delle decisioni della Corte, proviamo ad ascoltare le parole di Manfred Spitzer, psichiatra e neuroscienziato tedesco che ha pubblicato un libro dal significativo titolo “Demenza digitale” nel quale dimostra come la nuova tecnologia rende stupido l’uomo. Secondo Spitzer

“l’abuso dei nuovi strumenti rende «malati» e gli effetti creano conseguenze drammatiche, sia sulle capacità cognitive che sull’empatia necessaria per avere rapporti sociali fisiologici.

Usiamo di meno il nostro cervello, un organo che ha bisogno di essere costantemente attivato tramite i suoi neuroni. Oggi stiamo demandando tutto alle macchine, alle loro capacità, alla loro memoria e all’intelligenza artificiale.  Secondo Spitzer gli smartphone rendono i bambini "krank" ("malati"), "dumm" ("stupidi") e "süchtig" ("dipendenti") e, pertanto, si dovrebbero usare senza supervisione solo dall'età di 18 anni.

E lo aveva scritto prima che fosse messo a disposizione di tutti ChatGPT.
Qualcuno crede ancora che gli studenti faranno i compiti a casa?

Non solo; a questo grave rischio si devono aggiungere i già rilevati effetti dell’analfabetismo funzionale e di quello di ritorno. Il primo è stato definito dall’UNESCO nel 1984 l'incapacità di usare in maniera efficace le abilità di leggere, scrivere e fare di calcolo nelle normali situazioni di vita quotidiana. È lo stato di persone completamente incapaci di comprendere e usare le informazioni di cui vengono in possesso. Riguarda già i testi semplici come, ad esempio, gli articoli di cronaca; esistono individui incapaci di comprenderli. Ovviamente non leggono libri. A questo già grave problema si affianca l’analfabetismo di ritorno, il fenomeno per il quale un individuo, che aveva assimilato nel percorso scolastico le conoscenze necessarie alla scrittura e alla lettura, le perde nel tempo a causa del loro mancato esercizio.

Un cocktail terribile che potrebbe affliggere già le generazioni dei nativi digitali destinate ad un futuro semplice, comodo, agiato, ma messo in mano completamente alle macchine e agli algoritmi. Scuola, legislatori, operatori hanno una grave responsabilità di fronte alle nuove generazioni, forse maggiore di quella verso l’ambiente. Il progresso tecnologico si muove troppo velocemente e l’uomo non sembra reggere il passo: lo subisce in maniera passiva e già si pone il problema di un’umanità a due velocità dove quella digitalizzata potrebbe assurgere a posizioni di dominio su chi si limita passivamente a scrollare contenuti e a regalare alla rete i suoi dati personali.

Quando la maestra delle elementari chiedeva a Marco e Silvia, nati nel 1965, di fare una ricerca, loro sfogliavano almeno un’enciclopedia che i genitori avevano pagato a rate e almeno un libro specifico sull’argomento. Dopo scrivevano a mano i risultati della ricerca, curando calligrafia e grammatica e, il giorno dopo leggevano ad alta voce in classe e rispondevano a qualche domanda della maestra o dei compagni.

I Millennial erano già la generazione copia incolla: per la ricerca bastava Wikipedia e si stampava il risultato. Adesso basterà dire qualcosa tipo “Computer, fammi una tesi su Garibaldi o sulle Alpi” e in pochi secondi tutto apparirò sullo schermo.
Comodi, ma …




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