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martedì 20 giugno 2023
di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Era il 1962 e, alla guida di una Lancia Aurelia, Vittorio Gassman, guidava spericolato sulle strade dell’Italia del Boom in un viaggio senza apparenti regole che terminava con la morte dell’ingenuo studente interpretato magistralmente da Jean-Louis Trintignant. Sicuramente furono in pochi ad emularlo, a cominciare dal fatto che era difficile permettersi l’acquisto di un’auto che, all’epoca, era venduta alla cifra di quasi tre milioni delle vecchie lire mentre gli stipendi, per un operaio della Fiat, erano di 47.000 lire al mese. Ed erano ben più alti di chi quelli dei lavoratori, ad esempio, di uno stabilimento tessile di Biella che si aggiravano sulle 30.400 lire.
Cifre decisamente inferiori rispetto a quelle fatturate dagli Youtuber che hanno causato a Casalpalocco, zona sud di Roma, l’incidente che è costato la vita ad un bambino di cinque anni e il ferimento della madre e della sorella. Dalle notizie immediatamente apparse sulla stampa sembra che in un anno il gruppo di ventenni abbia fatturato circa duecentomila euro. Oggettivamente un eccellente risultato degno di un imprenditore di successo. Ma, purtroppo, l’incidente e la morte del bambino, hanno portato alla luce una delle serie di contraddizioni che popolano il mondo della rete e che devono indurre a profonde riflessioni sul suo uso.
Nel 1962 non è dato sapere quanti fossero gli aspiranti emuli di Gassman; per quanto riguarda invece il gruppo di youtuber romani una stima è forse possibile: seicentomila, vale a dire il numero dei follower del loro canale.
È l’effetto emulazione che i social amplificano e possono portare a conseguenze estreme proprio con le Challenge, sfide talvolta ai limiti dell’assurdo che coinvolgono sempre più giovani che vogliono mettersi in mostra su queste piattaforme, ottenere consensi, sperabilmente monetizzare e, in ogni caso avere visibilità.
L'emulazione è un fenomeno comune nell'adolescenza; i giovani cercano di adattarsi e identificarsi con modelli che vengono loro proposti, magari da coetanei che raggiungono il successo. I social media amplificano questo desiderio offrendo una vetrina per mostrare una versione "ideale" di sé stessi. Gli psicologi non hanno mancato di indicare come ciò possa portare anche a sentimenti di insicurezza e insoddisfazione con la propria vita. Dopo aver navigato su una piattaforma oltre il trenta percento degli utenti è afflitto da tristezza.
Ma i like, i follower e gli elogi sui social media sono ormai una misura del valore personale per i giovani e la ricerca di validazione attraverso i numeri di like e follower può portare a comportamenti e decisioni discutibili.
Non dobbiamo, infatti, limitarci solo all’ultimo eclatante episodio; questo è solo la punta di un iceberg.
La vicenda di Roma ha probabilmente più concause che hanno radici non solo nella rete ma anche, probabilmente, nel noleggio della macchina, nel mancato rispetto delle norme minime di prudenza alla guida, nella certezza dell’impunità. Ma in questa storia, come in troppe altre in cui è sempre più facile imbattersi, i social e la rete sono sempre presenti e hanno un’incidenza determinante.
È di alcuni giorni fa la notizia di un influencer deceduto per dimostrare ai suoi follower quanto alcool riusciva ad ingurgitare; altri ragazzi, ben sotto la soglia minima di tredici anni prevista per iscriversi alla piattaforma cinese, hanno perso la vita per la Blackout Challenge che consiste nel trattenere il respiro il più a lungo possibile, anche usando sacchetti di plastica o lacci e collari.
La dismorfia da Snapchat è una sindrome psicologica che si si manifesta quando una persona inizia a percepire la propria immagine naturale come inadeguata o non attraente, a confronto con l'immagine filtrata e modificata che vede di sé stessa. Questo può portare a una serie di conseguenze negative per la salute mentale, tra cui bassa autostima, ansia, depressione e un'ossessione per l'aspetto fisico. Conseguenza? Giovanissimi che si sottopongono ad interventi di chirurgia plastica per assomigliare alla foto che ha ottenuto più consenso sui social.
È alto il rischio di cadere in facili moralismi, ma sono fin troppi i bambini che usano tablet e smartphone fin dalle elementari, con nessun controllo. Forse sono assorti in giochi che iniziano con il protagonista (manovrato dal bambino) che deve rubare una macchina per poi uccidere un poliziotto o un membro della gang rivale. O forse stanno semplicemente consumando, in maniera del tutto passiva, video girati da qualche loro coetaneo o da qualcuno di poco più grande che insegna come vestirsi, come truccarsi, come guidare o investire in Bitcoin o, anche, a disprezzare chi guadagna solo mille e trecento euro al mese o guida una macchina da poveracci.
Internet è quel luogo per molti ideale che rappresenta una fuga dalla realtà, un ambiente che l’utente si costruisce a propria immagine, dove, al costo di uno smartphone e di una connessione, può inserire tutto ciò che vuole; senza possibilità di controllo preventivo. E imitare gli altri. Forse è il momento di riflettere sulla necessità di normative più rigorose per l’uso della rete, magari anche sovranazionali, e ripensare alle parole di Stefano Rodotà che, in tempi non sospetti, sosteneva che “parlare di rete libera è una vera stupidaggine.”
In ogni caso il problema deve essere affrontato anche da chi opera sulla rete e non solo per la protezione dei dati. Chiedersi chi sono i destinatari, o potenziali tali, dei contenuti immessi online, diventa un dovere primario per ogni azienda.
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