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martedì 22 aprile 2025
Di Avv. Gianni Dell'Aiuto
L’intelligenza artificiale è entrata nel linguaggio comune e nelle strategie aziendali con la velocità tipica di ogni innovazione dirompente. Se ne parla come di una tecnologia avanzata, quasi onnisciente, che analizza, prevede e decide con una precisione che supera le capacità umane.
Ma in questa narrazione c’è un errore di prospettiva: si guarda al sistema, al software, al modello di machine learning, dimenticando ciò che realmente lo sostiene e lo alimenta. L’AI non è un’entità che si autoalimenta, non è una macchina pensante né un’intelligenza autonoma. È, in definitiva, il risultato dei dati che riceve, la somma delle informazioni che le vengono fornite.
I dati non sono un dettaglio, sono la sostanza. Senza dati, nessuna intelligenza artificiale può funzionare. E con dati errati, manipolati o parziali, i risultati non possono che essere distorti. La qualità dell’AI non dipende tanto dalla sua architettura quanto dalla bontà delle informazioni che la nutrono. Eppure, nel dibattito sull’innovazione, questo aspetto viene spesso trascurato.
Si celebrano i modelli sempre più performanti, si investe nella potenza di calcolo, si affinano gli algoritmi, ma si dedica ancora troppo poco tempo alla vera questione: chi raccoglie, gestisce e protegge i dati?
Le aziende che intendono affidarsi all’AI devono comprendere questa verità essenziale. L’adozione di sistemi intelligenti non può prescindere da una responsabilità precisa: quella di garantire che i dati siano affidabili, sicuri e trattati con rigore. È un dovere che si declina su più livelli. In primo luogo, chi raccoglie i dati ha l’obbligo di proteggerli da accessi non autorizzati, utilizzi impropri e violazioni della privacy.
La sicurezza non può essere un optional, né un elemento da valutare solo dopo aver implementato il sistema. Deve essere parte integrante della strategia aziendale. Perché i dati, una volta compromessi, non sono facilmente recuperabili e le conseguenze possono essere irreversibili, tanto sul piano legale quanto su quello reputazionale.
Ma il dovere di protezione non si esaurisce nella sicurezza informatica. È un impegno etico che riguarda anche gli sviluppatori, i progettisti, i responsabili delle decisioni aziendali. Chi costruisce un sistema AI deve interrogarsi non solo su cosa può fare, ma su come e con quali effetti. L’AI impara dai dati, e se i dati sono parziali o viziati da bias, le decisioni che ne deriveranno saranno errate, discriminanti, potenzialmente pericolose. Ogni errore nell’impostazione di un dataset può tradursi in scelte che penalizzano persone, mercati, intere categorie professionali. E quando un sistema AI sbaglia, l’errore è amplificato su larga scala.
Le aziende non possono più permettersi di considerare la gestione dei dati come un problema tecnico secondario. È una questione di strategia, di visione, di responsabilità. Un sistema AI non è mai neutrale: è lo specchio di ciò che gli viene fornito.
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Se vogliamo modelli intelligenti, dobbiamo essere intelligenti nella raccolta e nell’uso delle informazioni. Se vogliamo sistemi affidabili, dobbiamo essere affidabili nella loro costruzione. L’AI non è una scatola magica che produce decisioni perfette.
È, al contrario, una tecnologia che amplifica ciò che le aziende le danno in pasto. E se non vogliamo che il futuro sia plasmato da dati inaffidabili e scelte opache, allora dobbiamo assumerci la responsabilità, oggi, di trattare i dati con la serietà che meritano. Perché senza dati di qualità, l’intelligenza artificiale non è né intelligente né artificiale. È solo un’illusione.
martedì 22 aprile 2025
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