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giovedì 25 settembre 2025
Di Avv. Gianni Dell’Aiuto
Mi credete se vi dico che ci sono aziende che si illudono di essere “GDPR compliant” solo perché hanno messo sul loro sito una privacy policy copia-incolla?
È come se un assicuratore vi vendesse una polizza e poi tacesse cosa non è compreso. Funziona finché non serve davvero, e quando arriva il problema scoprite che la copertura era un miraggio. La verità è che la privacy non è quella paginetta che qualche creatore di sito ti fa credere possa coprire tutta la tua struttura. Non basta un disclaimer scritto in fretta, scaricato da internet e messo online per farsi belli.
La privacy è una catena complessa, dove ogni anello ha regole precise: contratti con fornitori e subfornitori, lettere di incarico ai dipendenti, istruzioni a chi tratta i dati, procedure per la gestione dei data breach, regole per lo smart working, politiche interne per password, dispositivi, cloud. La compliance non è un foglio: è un’organizzazione. Anche cambiare la password ogni mese non vi rende sicuri. Un corso online fatto tanto per fare non vi salva dal prossimo incidente. Una policy standardizzata sul sito non protegge né clienti, né fornitori, né dipendenti.
Già, i dipendenti. Forse non ci avete mai pensato: i loro dati non sono “i dati dei clienti”, ma sono ugualmente delicati. Contratti di lavoro, buste paga, malattie, permessi, procedimenti disciplinari. Tutto questo è trattamento di dati personali. Li gestite come i dati dei clienti? Avete regole scritte, istruzioni, controlli? O lasciate che viaggi tutto in mail non protette, cartelle condivise senza password, vecchi archivi lasciati su PC dimenticati?
E chi lavora in smart work, magari proprio il ragazzino bravissimo che crea i siti su cui veicolano tutte le informazioni tue e dei tuoi clienti, lavora in smartwork da Londra dove segue l’Erasmus e si collega da un Pub a Wembley. Questo è il punto: chi vi vende un sito con la sua brava policy non lo sa, non ve lo dice, e spesso non vi chiede nulla. Perché il suo obiettivo è consegnarvi una facciata, non mettervi in regola davvero. La facciata illude, ma non vi salva.
Il GDPR non è un PDF sul sito. È un sistema. Un metodo. Una governance. È la capacità di sapere quali dati vi servono davvero, chi li deve trattare, chi li può vedere, da quali terminali entrano ed escono, con quali regole e quali controlli. È avere la certezza che quando un collaboratore lascia l’azienda i suoi accessi vengano chiusi subito. È prevedere che un fornitore non possa conservare i vostri dati dove gli pare, o farli viaggiare su un Wi-Fi improvvisato da uno chalet di montagna.
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Ecco la realtà: molti imprenditori si rifugiano nella policy sul sito perché costa poco e fa scena. Ma è come mettere una toppa su una diga che perde: la crepa si allarga e prima o poi l’acqua travolge tutto. Il Garante lo sa, i clienti lo capiscono subito, e i dipendenti lo percepiscono ancora meglio: se non rispettate i loro dati, perché dovreste rispettare quelli degli altri?
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La domanda vera è: volete essere voi a gestire i dati della vostra azienda, clienti, fornitori, dipendenti, o preferite farvi gestire dai rischi che nascono da una pessima organizzazione e da personale non formato? Perché la scelta è tutta qui. O mettete ordine, o aspettate che sia il Garante a farvelo capire con una sanzione.
La compliance non si fa con le “pezze” copiate perché sembrano complete. Non si improvvisa con moduli standard e corsi improvvisati. Serve metodo, serve strategia, serve consapevolezza. E soprattutto serve capire che la privacy policy del sito è solo la facciata: dietro deve esserci una struttura vera, fatta di regole scritte, ruoli chiari e responsabilità.
Se non volete arrivare al giorno in cui sarà qualcun altro a dirvi cosa avete sbagliato — e quanto vi costa — iniziate ora a parlarne con chi sa davvero di cosa si tratta. Perché la privacy non è un adempimento. È la vostra unica difesa.
lunedì 22 settembre 2025
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