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Il Grande Fratello esiste e lo hai in tasca


lunedì 6 ottobre 2025
Di Avv. Gianni Dell’Aiuto



Qualcuno pensa ancora che “Il Grande Fratello” è solo un programma televisivo e qualcuno che ancora ricorda che è il dittatore in un romanzo, un incubo distopico, “1984”.

Non siamo in un programma televisivo

Oggi basta infilare la mano in tasca per accorgersi che non è più fantasia. Lo smartphone, compagno inseparabile di ogni giornata, non è solo un telefono. È una telecamera rivolta verso di noi, un registratore di abitudini, un catalogo ambulante delle nostre fragilità. Non serve un regime totalitario per sorvegliarci: ci pensano le piattaforme, i motori di ricerca, i social, le app di fitness e persino quelle per ordinare la pizza.

Tu non hai in tasca uno strumento per telefonare o giocare, ma un supermercato aperto h 24 sette giorni su sette, dove qualcuno decide per te le vetrine che puoi vedere. E non solo.

Jaron Lanier, uno dei padri fondatori della realtà virtuale e forse il suo critico più feroce, l’ha spiegato meglio di chiunque altro: nel momento in cui regaliamo gratuitamente i nostri dati, smettiamo di essere persone e diventiamo “utenti-merce”. Le piattaforme non ci offrono servizi: ci usano come materia prima. Ogni like, ogni scroll, ogni ricerca non è un atto innocente, ma un frammento di noi che finisce in un archivio, pronto a essere sfruttato per vendere pubblicità o manipolare comportamenti.

Per saperne di più > Jaron Lanier, il GDPR e la Protezione dei Dati contro l'Economia della Sorveglianza

Shoshana Zuboff ha dato un nome a questo meccanismo: capitalismo della sorveglianza. Un sistema che non si limita a osservare ciò che facciamo, ma che punta a prevederlo e, in ultima analisi, a orientarlo. Il valore non sta più nel prodotto, ma nei dati estratti dai nostri gesti. Siamo miniere ambulanti e inconsapevoli, costantemente trivellate da algoritmi che conoscono le nostre paure meglio di noi stessi. Già Orwell parlava di telescreen obbligatori nelle case: noi li abbiamo pagati a caro prezzo, lucidi, eleganti, da tenere in tasca e accendere ogni cinque minuti.

E qui entra in scena Manfred Spitzer, che ha parlato senza mezzi termini di “demenza digitale”. Non è solo una formula d’effetto. L’uso smodato delle tecnologie, soprattutto nei più giovani, sta riducendo capacità cognitive, concentrazione e memoria. La mente si appiattisce, abituata a delegare tutto allo schermo. Ogni volta che ci fidiamo ciecamente di Google Maps per raggiungere una via che avremmo potuto imparare, o che scorriamo senza pensare un feed che ci nutre con ciò che l’algoritmo decide, un pezzetto della nostra autonomia evapora.

La combinazione di questi tre livelli – l’individuo che diventa merce (Lanier), l’economia che trasforma i dati in potere (Zuboff), la mente che si indebolisce (Spitzer) – disegna un quadro che non è più una profezia ma cronaca quotidiana. Il Grande Fratello non ci impone la sua presenza: lo abbiamo accolto spontaneamente, convinti che fosse un giocattolo, un amico, una comodità.

Io nei miei libri e nei miei articoli lo chiamo Homo Googlis. Qualcuno obietta che il telefono è anche uno strumento di libertà, e in parte è vero. E anche Internet è un sistema democratico dove uno è uguale a uno e l’opinione di un Premio Nobel è ascoltata quanto la mia o quella di ognuno di noi; è un sistema che ci informa, ci permette di comunicare, ci connette, ci salva in caso di emergenza.

Ma resta il fatto che, mentre lo usiamo, veniamo usati.

Conclusioni

La vera differenza con Orwell è che oggi non c’è un partito unico che impone la sorveglianza. Ci sono decine di aziende private che competono tra loro per sapere tutto di noi e monetizzare ogni respiro. Invece della paura, si usa la seduzione: la gratificazione istantanea, la promessa di efficienza, il gioco infinito della connessione.

Il problema è che più ci abituiamo a questa presenza silenziosa, più perdiamo la capacità di immaginare alternative. La sorveglianza diventa normalità, la profilazione diventa marketing, l’erosione della memoria e della concentrazione diventa stile di vita. Ci riduciamo a utenti che scorrono, cliccano, reagiscono. E in questo movimento incessante, dimentichiamo di pensare.

Forse la vera provocazione non è dire che il Grande Fratello esiste e lo abbiamo in tasca. La vera provocazione è ammettere che ce lo teniamo stretto, che lo difendiamo, che saremmo persi senza di lui. La distopia non ci è stata imposta: l’abbiamo scelta, pezzo dopo pezzo, download dopo download.

E allora la domanda finale è inevitabile. Abbiamo ancora la forza di spegnere lo schermo e ricordarci chi siamo, oppure il prezzo della comodità è stato proprio questo: cedere noi stessi in cambio di un’app che ci dice cosa fare, dove andare, cosa desiderare?




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