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Un’altra vittima di TikTok. Chi deve intervenire per regolare la rete?


venerdì 22 gennaio 2021
Avv. Gianni Dell’Aiuto



Questa volta la vittima è italiana, una bambina di dieci anni di Palermo, deceduta a seguito dell'ennesima folle sfida su Tik Tok. Non sono bastati gli allarmi dopo la skull break challenge e dopo le bevute di Benadryl fino a stordirsi e neppure le segnalazioni da parte del Garante e gli avvertimenti per l'induzione alla pedopornografia che da più parti sono stati mossi: abbiamo purtroppo una nuova vittima di social.

Le cronache riferiscono che, questa volta, è stata la sfida del "black out challenge". Si tratta di una gara tra giovanissimi che consiste nello stringersi al collo una cintura e giungere al punto estremo di resistenza; ovviamente il tutto deve essere ripreso con il cellulare e postato insieme ad altri video di barzellette, balli, consigli per il trucco o simpatici sipari tra coppie scoppiate.  I giornali parlano della bambina che si è legata al collo la cintura di un accappatoio e del cuore che si è fermato per lunghi minuti; sempre dalla rete si legge che sia stata dichiarata la morte cerebrale della bambina nonostante le manovre eseguite una volta che i genitori l’hanno trasportata in ospedale. Per l'ennesima volta il social più di tendenza tra i giovanissimi è la causa scatenante, determinante, di una tragedia che, come tutte quelle che l'hanno preceduta, poteva essere evitata. Maggior controllo da parte dei genitori che, forse, avrebbero potuto e dovuto evitare che una una bambina così piccola potesse accedere ad una piattaforma ormai notoriamente pericolosa.

Una maggiore consapevolezza sarebbe necessaria?
Ma la rete è già sufficientemente piena di informazioni, notizie, articoli specialistici e non, che rendono edotti della pericolosità di questa piattaforma che ha oltre ottocento milioni di utenti di cui oltre la metà in Cina. Proprio in tal senso Anonymous ha avvertito che Tik Tok è in realtà un malware controllato dal governo cinese che agirebbe come strumento di spionaggio di massa. L’invito a disinstallarlo da parte di un gruppo hacker etico avrebbe dovuto indurre il popolo della rete quantomeno ad una riflessione.

L'ennesima tragedia dimostra come questi messaggi restino inascoltati. L'utente medio della rete, l'Homo Googlis, è sordo ai richiami e, a colpi di click, continua la navigazione senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze che, a dire il vero, sono avvolte da un alone di mistero che porta ad accettare il brivido della sfida. Lo fanno gli adulti, magari accettando di incontrare lo sconosciuto con cui hanno parlato per mesi e per scoprire che in realtà si tratta di un’altra persona, completamente diversa. Lo fanno ovviamente i più giovani che, finalmente lontani dal controllo dei genitori, possono lanciarsi in queste assurde sfide.

Ricordiamo che Tik Tok, a differenza di altri social, non ha forme concrete di controllo per l’accesso: basta dichiarare di avere superato i tredici anni di età. Inoltre la privacy policy usata si sostanzia nell’informare gli utenti che i loro dati saranno usati dal gestore del social come vuole, inviandoli a chi decide e non garantendo i diritti che il GDPR imporrebbe per chi opera all’interno dell’Unione.

In ogni caso, cercando (e non è semplice) di prescindere da questa vicenda e dal caso specifico di TikTok, è giunto il momento, forse già da tempo, di ripensare alle norme di ingaggio sulla rete. E se da un lato viene rivendicata l’assoluta libertà di accesso, di navigazione e di uso, dall’altro si devono tenere in considerazione le possibili conseguenze che non sono soltanto furti di identità o truffe online: questa tragedia ce lo ricorda. Suicidi per tentativi di ricatti sessuali o a seguito di revenge porn si sono già registrati; le fake news a cui viene dato ascolto e diffusione sono un altro dei pericoli ai quali, quotidianamente siamo esposti.

Forse è davvero il momento di pensare ad un’agenzia sovranazionale che controlli e disciplina la vita in rete.




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