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lunedì 20 gennaio 2025
Di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Viviamo in un'epoca in cui i dati sono diventati la linfa vitale dell'economia digitale, il nuovo petrolio che alimenta algoritmi, piattaforme e modelli di business. Ma come ogni risorsa preziosa, il loro utilizzo non è privo di rischi e dilemmi morali. La legge, con le sue normative sulla protezione dei dati, pone un argine a questi rischi. Ma rispettare le regole è davvero sufficiente? La risposta è no. Perché dietro ogni dato c'è una persona, una storia, una vita. E proteggere i dati significa, prima di tutto, rispettare le persone.
La Data Ethics è quel principio che ci ricorda che non tutto ciò che è legale è anche giusto. Raccogliere dati è facile. Farlo nel rispetto della dignità delle persone è molto più complesso. E non basta un consenso formale per legittimare ogni trattamento. Il consenso, spesso, è una formalità che le persone accettano senza comprendere appieno cosa comporta. Chi legge davvero le policy sulla privacy? Chi capisce fino in fondo come vengono utilizzate le proprie informazioni? La vera sfida è adottare un approccio etico che metta al centro la trasparenza e la consapevolezza.
Ma perché è così difficile parlare di etica dei dati? Forse perché la gestione dei dati avviene spesso in modo invisibile. I dati vengono raccolti, elaborati e condivisi senza che le persone se ne rendano conto. Ogni ricerca online, ogni acquisto, ogni movimento genera dati che qualcuno può sfruttare. E qui emerge il rischio più insidioso: il data exploitation, lo sfruttamento dei dati senza un consenso esplicito e consapevole. Le informazioni vengono trasformate in strumenti di profitto, spesso senza un reale controllo da parte dei diretti interessati. E quando i dati vengono usati per manipolare comportamenti, influenzare scelte o discriminare, il confine tra innovazione e abuso si fa sottile.
La tecnologia corre veloce, più veloce delle leggi. Ed è qui che entra in gioco l’etica.
Mentre la normativa cerca di rincorrere le innovazioni, l’etica può essere la bussola che orienta le scelte aziendali verso un uso responsabile dei dati. Non si tratta solo di evitare sanzioni o scandali, ma di costruire un rapporto di fiducia con le persone. Perché, alla fine, la fiducia è la risorsa più preziosa in un mondo digitale sempre più interconnesso.
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Adottare un Data Protection by Design etico significa partire da una domanda fondamentale: stiamo utilizzando i dati nel miglior interesse delle persone? Ogni decisione sulla gestione dei dati dovrebbe partire da qui. Non basta chiedersi se una pratica sia legale, bisogna domandarsi se sia anche giusta. Questo approccio richiede uno sforzo culturale, un cambio di prospettiva che coinvolga tutti: dai responsabili IT ai dirigenti, fino ai consulenti legali.
Per saperne di più > Data Protection Officer (DPO): chi è, che cosa fa, perché serve
Un esempio pratico? Pensiamo agli algoritmi che profilano gli utenti per personalizzare offerte e servizi. Questi sistemi raccolgono una mole enorme di dati, spesso senza che le persone ne siano realmente consapevoli. Un approccio etico richiederebbe di chiedere agli utenti non solo il permesso, ma anche di spiegare in modo chiaro e semplice come funzionano questi algoritmi, quali dati utilizzano e quali decisioni influenzano. La trasparenza non dovrebbe essere un obbligo burocratico, ma un valore fondamentale.
L’etica dei dati non è un freno all’innovazione, ma una guida per innovare in modo sostenibile e rispettoso dei diritti delle persone. Perché l’innovazione non dovrebbe mai avvenire a scapito della dignità umana. E le aziende che sapranno adottare un approccio etico alla gestione dei dati avranno un vantaggio competitivo enorme: la fiducia.
Ecco, allora, il vero valore della Data Ethics: un faro che illumina la strada in un mare tempestoso di dati e tecnologie.
Un richiamo a ricordarci che dietro ogni numero, ogni statistica, ogni file, c'è una persona. E che proteggere i dati significa, prima di tutto, proteggere le persone.
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