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giovedì 27 marzo 2025
Di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Si racconta che il professor Norbert Wiener, padre della cibernetica, fosse solito avvisare i suoi colleghi scienziati sui pericoli dell’intelligenza artificiale ancor prima che questa esistesse realmente. "L’AI non vi odierà, ma vi ignorerà", diceva, intendendo che una macchina che prende decisioni senza regole precise sulla gestione dell’informazione non ha bisogno di malizia per diventare un problema. Oggi, mentre l’intelligenza artificiale si infiltra in ogni aspetto della nostra vita quotidiana e lavorativa, quelle parole suonano più profetiche che mai.
Le PMI stanno adottando strumenti basati sull’AI con la velocità con cui un tempo si passava dalla macchina da scrivere al computer. Assistenti virtuali, analisi predittive, chatbot e generazione automatica di contenuti: l’intelligenza artificiale non è più una prerogativa delle big tech, ma una realtà per qualunque azienda che voglia restare competitiva. Eppure, dietro questa rivoluzione si nasconde una minaccia concreta: la gestione incontrollata dei dati personali.
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Ogni strumento AI si nutre di dati. Più ne riceve, più migliora. Ma di chi sono quei dati? Come vengono trattati? Dove finiscono? Queste domande, che fino a qualche anno fa interessavano solo giuristi e regolatori, oggi dovrebbero essere sulla scrivania di ogni imprenditore. Perché non è solo una questione di privacy: è una questione di responsabilità legale e di sopravvivenza aziendale.
Il GDPR ha già stabilito principi chiari: i dati personali devono essere trattati con trasparenza, raccolti solo per scopi specifici e conservati in sicurezza. Tuttavia, l’adozione massiccia dell’AI sta creando una nuova generazione di problemi giuridici. Gli strumenti basati su machine learning e deep learning apprendono dalle informazioni che ricevono, spesso senza che chi li utilizza abbia piena consapevolezza di come i dati vengano elaborati. Un chatbot che registra le conversazioni con i clienti, un software HR che analizza i curriculum dei candidati, un assistente virtuale che processa richieste via e-mail: tutti esempi di AI che, se non gestiti correttamente, possono trasformarsi in una minaccia per la conformità aziendale.
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Il vero rischio? Le cosiddette "AI shadow". Si tratta di strumenti AI utilizzati dai dipendenti senza che l’azienda ne abbia il pieno controllo. L’uso di ChatGPT o Sora per generare report aziendali, tradurre documenti riservati o elaborare strategie commerciali potrebbe sembrare innocuo, ma dove finiscono quei dati? Chi li conserva? In alcuni casi, potrebbero essere elaborati su server esteri senza alcuna garanzia di sicurezza, con un impatto devastante sulla protezione delle informazioni aziendali.
Per evitare problemi legali, le PMI devono muoversi ora. Il primo passo è mappare l’uso dell’AI all’interno dell’organizzazione, individuando quali strumenti vengono impiegati e per quali finalità. Il secondo è definire una policy chiara sull’uso di queste tecnologie, stabilendo regole precise sulla raccolta, il trattamento e la conservazione dei dati. Infine, serve formazione: i dipendenti devono comprendere i rischi di una gestione superficiale dell’AI e adottare pratiche sicure.
Parallelamente, l’Unione Europea sta mettendo a punto un nuovo regolamento sull’intelligenza artificiale, che imporrà requisiti ancora più stringenti per le aziende che utilizzano algoritmi in settori sensibili come la sanità, la finanza e la pubblica amministrazione. Il principio alla base di questa normativa è chiaro: non si può delegare tutto alle macchine. Le decisioni devono rimanere sotto il controllo umano e devono rispettare standard rigorosi di trasparenza e sicurezza.
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C’è poi il tema della responsabilità. Se un algoritmo prende una decisione discriminatoria, chi ne risponde? Se un AI viene utilizzata per profilare i clienti in modo invasivo, chi viene sanzionato? Sono questioni che riguardano direttamente chiunque utilizzi l’AI, e che non possono essere lasciate al caso. Le aziende dovranno dotarsi di un solido supporto legale per evitare di incorrere in problemi che potrebbero avere conseguenze finanziarie e reputazionali gravissime.
Non è più tempo di esperimenti incontrollati. L’intelligenza artificiale è qui per restare, ma il suo utilizzo richiede regole chiare e un approccio consapevole. Le PMI devono smettere di considerare la privacy come un onere burocratico e iniziare a vederla per quello che è: una componente essenziale della propria strategia di sicurezza e competitività.
La sfida non è più tra chi adotta l’AI e chi no, ma tra chi la usa in modo sicuro e chi rischia di pagarne le conseguenze. In un’epoca in cui l’innovazione tecnologica avanza più velocemente della regolamentazione, il futuro appartiene a chi sa combinare progresso e prudenza. Il resto, come diceva Wiener, sarà semplicemente ignorato.
mercoledì 26 marzo 2025
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