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lunedì 14 aprile 2025
Di Avv. Gianni Dell’Aiuto
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Hai già fatto il tuo Starter Pack? La più recente trovata dell’epoca, quella della rivoluzione digitale o del nulla connesso. Un giocattolo per adulti adolescenti, una figurina Panini dell’io, da collezionare non in un album ma nel feed di Instagram. È l’autoritratto che ci si fa non con il pennello ma con il template: tre immagini, una scritta ironica, e l’illusione di dire qualcosa di sé.
Una volta ci si raccontava con i romanzi, poi con le fotografie, infine con i tweet. Ora bastano quattro oggetti buttati su uno sfondo bianco: un paio di scarpe, una bibita zuccherata, un libro che nessuno ha letto e un paio di occhiali da sole. Voilà, questo sono io. È l’adeguamento alla moda di massa travestito da autoironia. È la voglia disperata di appartenere, condita dalla pretesa di essere diversi. È l’omologazione fatta meme.
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Ma sotto sotto, lo starter pack è un segnale: l’uomo moderno non si descrive più, si etichetta. Non pensa, si riconosce. Non sogna, si impacchetta. Come una merce, appunto. Ma visto che qui parliamo di privacy e protezione dati, cosa serve per fare questa nuova proiezione di noi online? he cosa serve per farsi un’immagine stile Starter Pack?
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Serve il tuo volto, naturalmente. E con “volto” non si intende una faccenda generica, da carta d’identità scaduta o da foto profilo in ombra. Serve il tuo volto vero. Nitido, luminoso, frontale, disponibile a essere letto da un algoritmo come una mappa del tesoro. Il tesoro sei tu, e la mappa non l’hai mai disegnata tu.
Poi serve il tuo telefono, che è un altro modo per dire: geolocalizzazione, dispositivo, abitudini di utilizzo, collegamento a social, magari qualche traccia di pagamenti.
Ma tranquillo, niente che tu non abbia già ceduto volontariamente con il sorriso, in cambio di un filtro buffo o di un avatar che ti fa sembrare un Ken col borsello o una influencer con labbra a canotto.
Serve anche la tua pazienza perché, dopo aver caricato la foto, l’app vorrà sapere qual è il tuo stile. Sottinteso: qual è la tua categoria di consumo. Lo starter pack, in fondo, è questo: il riassunto visuale di quello che sei o, meglio, di quello che compri, guardi, desideri. Che poi spesso coincidono. Così, mentre pensi di costruire una caricatura simpatica del tuo personaggio pubblico, stai in realtà impacchettando te stesso per gli scaffali del marketing: una sagoma animata con le etichette ben visibili, pronta per essere venduta a chi sa già cosa fartene.
E poi c’è il dettaglio più tenero: i dati biometrici. Quei minuscoli tratti unici che compongono il tuo viso come uno spartito, e che ora finiscono dritti dritti nel grande orecchio dell’intelligenza artificiale. Per carità, nessuno ti obbliga. Ma nemmeno ti avverte davvero. Il consenso c’è, certo. Ma è un consenso firmato mentre stai cercando di capire se la tua versione bambolotto avrà le sneakers o i mocassini.
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Il risultato è divertente, sì. Anche ben fatto. Sembri proprio tu, ma in versione da scaffale, o da serie Netflix mai prodotta. E nel mentre, un server lontano, che potrebbe trovarsi ovunque, dall’Iowa a Singapore, dalla Cina alla Nigeria, ha appena aggiunto il tuo viso, i tuoi gusti, e qualche frammento della tua anima digitale al suo gigantesco puzzle di esseri umani.
E chi lo gestisce? Non hai letto chi sono i proprietari della app? Magari la Banda Bassotti, Jack lo Squartatore, o un’associazione che usa questi dati per creare un documento a tuo nome da consegnare al prossimo corriere di stupefacenti. Tutto questo per riderci sopra, magari per un post da duecento like. D’altra parte, come si fa a dire di no a una caricatura di sé stessi, se la caricatura siamo noi già da tempo e l’unica cosa che mancava era un po’ di grafica in stile infografica ironica?
Ma tu, che leggi, almeno ora lo sai. L’immagine sei tu. Il pacchetto pure. E il destinatario? Forse non sei più nemmeno quello.
Ho cercato di essere ironico, lo ammetto. Ma questa ultima moda, dopo il volto invecchiato, ringiovanito, cartoonizzato, sdoppiato, moltiplicato, è solo un altro modo con cui la rete ci strappa ciò che le serve per sopravvivere: dati, volti, gusti, imperfezioni, tic. E noi glieli diamo con entusiasmo, credendo di essere protagonisti, mentre siamo solo fornitori.
Ci divertiamo con le nostre caricature, ma nel frattempo alimentiamo un sistema che ci conosce meglio di quanto facciamo noi stessi. E poi, con fare ingenuo o indignato, ci chiediamo ancora chi sia che viola la nostra privacy.Non serve un’indagine, né un’inchiesta. Basta guardarsi allo specchio. Quello vero, però. Non quello dell’app.
lunedì 7 aprile 2025
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