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E-mail, bacheche e chat interne: educare i dipendenti è più importante che mai


lunedì 14 luglio 2025
Di Avv. Gianni Dell'Aiuto



 
Dipendenti: sicurezzae formazione come fondamenta

In tutte le aziende si investono risorse in firewall, antivirus, autenticazione a due fattori, formazione su password e phishing. Ma forse ci si dimentica del principio più elementare: insegnare ai dipendenti cosa non dire, cosa non scrivere, cosa non fare con gli strumenti aziendali. Perché è proprio la leggerezza verbale che più facilmente rompe argini, danneggia reputazioni e travolge persone e imprese.

L’uso incauto degli strumenti digitali aziendali, delle mail, dei gruppi interni, delle bacheche e dei sistemi HR, può trasformare un giudizio professionale in un’offesa personale e persino in diffamazione. Anche una battuta mal contestualizzata o un commento percepito come offensivo, se veicolato attraverso canali ufficiali, può generare conseguenze legali pesanti. Ricordiamo che un invio massivo o una catena di mail tra colleghi, un post interno o una chat di gruppo sono ambienti che possono fare da amplificatore alla responsabilità, tanto del dipendente quanto dell’azienda.

Spesso si formano i lavoratori su come usare gli strumenti, ma ben raramente li si educa al senso del limite. Si spiega come criptare un allegato, ma non si avverte di non bollare un cliente come “incompetente” su Slack. Si insegna a non aprire link sospetti, ma non si dice mai che non sta scritto da nessuna parte che “tanto siamo tra noi”, tanto meno che l’azienda copre le offese dette sui suoi sistemi. Il confine tra critica e insulto, tra valutazione legittima e attacco personale, non è intuitivo ma va spiegato, rimarcato, ribadito.

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E poi c’è la leggerezza sui social: quella scorciatoia verso la sfera pubblica dove un post privato diventa ambiguamente pubblico. Come scriveva Montanelli, senza bisogno di appello: “La civetteria con le parole resta la forma più sicura di stupidità”. Perché un dipendente che parla in un forum o su Facebook, se parla male dell’azienda o di un collega, lo fa da solo, ma lo fa con la griffe dell’azienda stampata in fondo alle sue comunicazioni.

L’educazione non è una pietanza frettolosa servita in un’ora di corso obbligatorio. È una marcia di consapevolezza che deve accompagnare l’uso quotidiano dei sistemi aziendali. Serve dire dove inizia la professionalità e dove finisce la licenza personale.

Conclusioni

Serve spiegare il valore della reputazione dei colleghi, il peso delle parole e il rischio legale. Serve insegnare, insomma, che la sicurezza informatica non risiede solo nei codici e negli algoritmi, ma innanzitutto nelle teste di chi li usa.

Due consigli valgono più di cento slide: prevedere una formazione chiara e periodica sull’uso delle comunicazioni interne, e inserire policy esplicite che vietino ogni forma di commento personale, valutazione non richiesta o diffusione impropria di dati in canali aziendali.

E due esempi concreti aiutano più di mille avvertimenti: la collega che commenta su Teams che “il capo è un incapace ma tanto tra poco lo mandano via”, e il commerciale che gira una mail con i dati sensibili di un cliente per “far ridere un attimo il gruppo”. In entrambi i casi, si sorride per pochi minuti e si rischia per mesi.

Anche di più, se l’azienda fa finta di non vedere. Ma poi deve svegliarsi per evitare che sia il Garante, magari con una sanzione molto salata, a ricordargli che il personale deve essere formato, informato e, su molti argomenti, vigilato.



 




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