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venerdì 27 marzo 2020
di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Nei giorni di emergenza del Covid 19, sembra che gli accessi ai social e il giro di messaggi istantanei sui vari sistemi del mondo sembra sia aumentato di circa il 70%. Sarà vero? E’ una fake? Oppure se lo è inventato qualche pubblicitario per convincere nuovi potenziali clienti a investire in campagne online per essere pronti alla riapertura?
Con l’incredibile flusso di notizie e messaggi che sono giunti in questo periodo, è spontaneo porsi almeno un dubbio sulla veridicità del messaggio. Purtroppo la reazione dei più è del tipo “intanto la condivido con tutti, poi verificherò”. Il modo migliore per spargere disinformazione, incertezza e dubbi. Con un altro termine diffondere l’ignoranza. La disinformazione online è un virus decisamente pericoloso e può diventare anche uno strumento di manipolazione, come è emerso anche a seguito delle ultime presidenziali statunitensi.
Veicolo di diffusione della disinformazione è ovviamente il web, strumento che viene messo a disposizione delle stesse vittime che, non dimentichiamolo, sono gli stessi diffusori. E tutto ciò viene fatto a costo zero per chi vorrà farne uso che, inoltre, trova diffusori seriali nella categoria degli analfabeti funzionali, una piaga che affligge la rete a livello globale e che, emerge dalle statistiche, in Italia è particolarmente florida.
Identificare notizie false e, di conseguenza, evitare di diffonderle, sarebbe un primo dovere di tutti, ma sembra che siano sempre meno coloro che prestano attenzione a questa necessità e dovere. Esistono studi e rapporti che si soffermano sugli aspetti psicologici e sulla percezione delle notizie: processi mentali intuitivi o analitici che cercano di comprendere questo fenomeno definito di dispercezione ed è quantomeno opportuno in quanto, proprio in Italia, è stato riscontrato un profondo divario tra “la percezione dei fenomeni sociali ed economici e la realtà dei fatti”. Eppure non dovrebbe essere troppo complicato il discernere le notizie vere dalle false: basterebbe fare due o tre click su siti istituzionali o maggiormente affidabili. Ma, purtroppo, si preferisce cliccare sui siti che danno la risposta “che ci piace”. Chissà in quanti, più opportunamente, vanno a visitare i siti specializzati in fake e bufale; che non sono pochi.
Umberto Eco, nella sua allocuzione in cui descrisse i pericoli che il web stava creando per aver dato voce a "legioni di imbecilli", si augurava che la stampa e i giornalisti si dedicassero a combattere la piaga della disinformazione: sembra che non sia stato ascoltato. La cura sembra che possa essere solo un’informazione fatta correttamente e la collaborazione di tutti gli operatori.
La lotta all’analfabetismo funzionale e digitale è componente essenziale nel contrasto alla disinformazione online e questa si basa su asimmetrie di mezzi. Combatterla, è utile ribadirlo, è fondamentale per la democrazia. In questo senso, compito dei consulenti privacy ben potrebbe essere quello di contribuire allo sviluppo e alla diffusione di una cultura della protezione del dato. La facilità con cui viene fatto il piccolo pericolosissimo gesto di un click, con il mouse o con un dito, dovrebbe essere combattuta alla stessa stregua dell’analfabetismo funzionale, che ne è una delle cause. La disponibilità di dati personali, ad iniziare da quelli di navigazione degli incauti, è uno strumento messo in mano a coloro che vogliono più facilmente diffondere disinformazione.
Proteggere i nostri dati non è solo proteggere noi stessi, ma anche gli altri. In questo senso dovrebbe essere sviluppata la tecnologia civica, quello strumento di collaborazione e partecipazione che muove dal supporto attivo dei cittadini. Ovviamente, sul punto, emergono grosse problematiche in odine alla protezione del dato, ma i pericoli e i danni che possono derivare dalla disinformazione, inducono a far riflettere sul punto.
venerdì 15 novembre 2024
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