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martedì 17 gennaio 2023
di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Immagina per un attimo di vivere ogni momento della tua giornata con accanto a te una persona che ti critica senza sosta. Pensa cosa potrebbe accadere se ogni momento della tua giornata qualcuno, che ti segue ogni momento, non faccia altro che dirti come i tuoi abiti siano brutti e non alla moda e il tuo fisico pieno di difetti; sei troppo basso, con la pancia e i capelli sono unti e tagliati in maniera orripilante. La tua casa? Un tugurio oscuro all’interno del quale non potrai mai essere felice. Nel tuo lavoro sarai sempre inferiore addirittura del peggior Ragionier Fantozzi e i tuoi titoli di studio non sono degni di una cornice in un mega-ufficio all’ultimo piano di un grattacielo.
Cosa diresti ad una persona così? Che oltre a ricordarti sempre e solo i tuoi guai continua a paragonarti a persone bellissime, che hanno vite fantastiche, senza problemi. Quella persona è il tuo smartphone connesso ai social. Video e immagini di persone con fisici scultorei, curati in ogni particolare che si muovono in scenari da sogno. Che sia una spiaggia, una discoteca, un locale alla moda o un soggiorno arredato all’ultima moda, il loro habitat è sempre perfetto.
Instagram, TikTok, OnlyFans e tutte le altre piattaforme su cui passiamo troppa parte del nostro tempo sono vetrine di perfezione. Siamo consapevoli che dietro la maggior parte di quelle immagini e di quei video ci sono ore di lavoro alla ricerca della perfezione ma, quando quelle immagini ci passano davanti agli occhi, pensiamo solo che sono impeccabili. Ecco che possono scattare, anche simultaneamente, lo spirito di emulazione e un profondo senso di frustrazione. Molti pensano di fregarsene, di disinteressarsi o, addirittura, di disinstallare quelle app che generano infelicità.
Invece si resta connessi e si continua a scrollare lo schermo e a trascorrere ore passivamente su qualche piattaforma a guardare chi trasuda felicità. Gli algoritmi alla base dei social premiano l’estremismo e cercano l’effetto del virale; ecco perché compaiono sugli schermi contenuti che vanno verso il virale che, non dimentichiamolo, sono selezionati sulla base delle ricerche, dei like, delle preferenze di navigazione che, usando lo smartphone, tu stesso hai selezionato per il sistema. È uno stato di comparazione permanente da cui sembra difficile uscire.
I social, non dimentichiamolo, sono nati perché gli utenti restino sempre più connessi; sono finanziati da inserzionisti che vogliono vendere i loro prodotti e non sono gratuiti li stai pagando mettendo a disposizione di quelle aziende i tuoi dati che usano per inviarti pubblicità profilata oltre a quei contenuti che ti fanno sentire diverso dai loro protagonisti. È accertato che i social, e in particolare un loro eccessivo uso, generano stress, mancanza di sonno, perdita di produttività, deconcentrazione, ansia e potrei continuare. Sono inoltre un luogo caratterizzato da disinformazione, creano aspettative irreali, disconnettono dai contatti reali e ad una diminuzione di attività all’aperto quali soltanto lo sport e parlare con gli amici.
Per approfondire > L’accesso ai social: i poco considerati risvolti giuridici
Ma i segnali di allarme lanciati a più livelli sembra non trovino ascolto se guardiamo i numeri degli utenti in costante aumento. Sociologi e psicologi pongono in evidenza i devastanti effetti che derivano da un uso eccessivo di queste piattaforme che possono portare a più tipi di dipendenza e alle fobie di disconnessione o esclusione dai gruppi. Ma sembra siano in pochi a volersi distaccare da quella persona che, in ogni momento, ci fa confrontare con gli altri.
Le conseguenze? Può crearsi, e forse già esiste, una generazione infelice, che vive con l’ansia da prestazione che nasce da questo continuo paragonarsi con gli altri ma che non riesce a distaccarsi dallo smartphone che, in maniera subdola, lo mantiene all’interno di questo habitat patinato.
Jason Lanier, uno dei protagonisti di “The Social Dilemma” ha scritto un interessante libro dal titolo “Dieci Ragioni per cancellare subito i suoi social”. Mi limito ad elencarle:
Possiamo smettere di usare i social in una società dove la visibilità è sinonimo di esistenza? Possiamo disconnetterci in un mondo sempre più digitale dove i social sono anche relazioni, lavoro e informazione? Intanto impariamo a farne un uso più consapevole e a cercare di far tacere o non ascoltare quello scomodo compagno di ogni giorno che è nelle nostre tasche. Non è solo protezione dati e difesa della privacy: ne va della nostra felicità e della nostra sopravvivenza.
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