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venerdì 15 novembre 2024
Di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Oggi uso questo spazio non per parlare, come di consueto di aspetti tecnici della protezione dati o del GDPR, ma di una tragedia che, mi sento di affermarlo, nasce online o, comunque, ha profonde radici nel web.
È un qualcosa che si ripete in silenzio, scandita dal suono delle notifiche e dall’abbaglio dei filtri. Una ragazza è morta per complicanze, sembra dovute all’anestesia, per un intervento di rinoplastica. Da quanto la stampa si sforza di portare a conoscenza di un pubblico avido di sensazionalismo, voleva un naso diverso; forse perfetto come quello di modelle e influencer social e ha trovato il chirurgo su TikTok. Le indagini chiariranno eventuali responsabilità mediche, ma c’è un altro colpevole che già conosciamo: l’ossessione per l’apparire, alimentata dal tritacarne social.
L'Homo sapiens, che un tempo lottava per la sopravvivenza, oggi combatte con nemici nuovi: la FOMO (paura di essere esclusi), la nomofobia (terrore di restare senza smartphone) e quella Sindrome del Like che riduce l'autostima a una gara di popolarità. Ma c'è una patologia che supera tutte in gravità e simbolismo: la Dismorfia da Snapchat.
Questa condizione, individuata intorno al 2015 dai chirurghi plastici americani, è una variante moderna del disturbo da dismorfismo corporeo. La differenza è che la dismorfia da Snapchat è direttamente legata all’uso dei filtri e di app che distorcono l’aspetto fisico e spingono a idealizzare una versione irrealistica di sé stessi. Prima dell’avvento di Internet e dei social, patologie simili erano quasi inesistenti, e il termine stesso è un prodotto dell’era digitale.
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Nel 2018, l’American Academy of Facial Plastic and Reconstructive Surgery lanciò l’allarme: il 55% dei chirurghi riportava richieste di interventi estetici motivati dal desiderio di somigliare ai propri selfie ritoccati.
Ma è solo una malattia? No. È il risultato di una percezione di sé devastata da illusioni che promettono perfezione, trasformando corpi e volti reali in un’immagine idealizzata. È il desiderio ossessivo di assomigliare alla versione ritoccata di sé stessi, o di qualcuno che è stato scelto come modello ideale al punto da scegliere il bisturi come soluzione a una fragilità che, tuttavia, il chirurgo non può curare. Forse la può solo esasperare.
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Una volta, le foto ritoccate appartenevano alle pagine patinate delle riviste, un privilegio riservato a modelle e star. Lo sapevamo, e forse sorridevamo di quella finzione. Oggi il filtro è democratico: chiunque può applicarlo, e chiunque può illudersi. La bellezza diventa un obiettivo alla portata di tutti, o almeno così sembra.
E così, i giovani, nella fase ancora della loro formazione e della crescita, vivono in un eterno confronto: vedono corpi scolpiti e sorrisi perfetti, e si sentono inadeguati. L'ansia cresce, la depressione si diffonde, e qualcuno finisce per rincorrere un ideale che non esiste. La chirurgia estetica, un tempo strumento di miglioramento, diventa un rituale sacrificale sull’altare dei social.
Negli ultimi anni, si è osservato un aumento significativo delle richieste di interventi di chirurgia estetica da parte di giovani, in particolare ragazze appena maggiorenni. In Italia, la fascia 18-25 anni rappresenta circa il 12-15% del totale degli interventi estetici, con la rinoplastica e la mastoplastica additiva tra i più richiesti. Spesso questi interventi vengono finanziati dai genitori come "regalo" per il diciottesimo compleanno, segnando il passaggio alla maggiore età con un gesto che riflette la pressione sociale verso la perfezione estetica.
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I social media giocano un ruolo centrale in questa tendenza: circa il 60% dei giovani che scelgono la chirurgia estetica lo fa per inseguire gli standard imposti dai filtri digitali e dagli influencer.
Tuttavia, questi interventi, spesso intrapresi in un'età in cui il corpo non è ancora completamente sviluppato, sollevano importanti interrogativi etici e psicologici.
Un fenomeno che, forse, evidenzia come la società stia progressivamente smarrendo il valore della sostanza a favore dell’apparenza. Regalare un intervento estetico per il diciottesimo compleanno è il sintomo di una cultura che non aiuta i giovani a costruire una solida autostima, ma li spinge a cercare approvazione in un'immagine costruita su ideali fittizi.
La tragedia di Roma temiamo non sia un caso isolato. Ma la colpa non è solo dei social: è nostra. Abbiamo permesso che questi strumenti, nati per connettere, diventassero fabbriche di insicurezze. Non lo dico io, ma la psicologia e i fatto.
Cosa fare? Scuola e famiglia dovrebbero essere i primi baluardi, insegnando ai giovani a vedere oltre l’apparenza. Ma vogliono davvero essere aiutati? O preferiscono continuare a rincorrere una felicità in pixel?
Pensiamoci mentre continuiamo a scorrere i feed, cercando un filtro che, magari, renda il mondo meno insopportabile.
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