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lunedì 11 novembre 2024
Di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Internet è un mondo pervasivo e ormai naturale per chi ci è nato dentro. I cosiddetti "nativi digitali" vivono immersi in una realtà in cui il confine tra online e offline è sempre più sfumato fino a quando potrebbe scomparire. A differenza delle generazioni precedenti, che hanno attraversato l'era della connettività per scelta, questi giovani si trovano immersi in un ambiente digitale già strutturato, con interazioni e socialità proprie che ne condizionano la crescita e la personalità.
Ma cosa succede quando un bambino, prima ancora di essere consapevole del significato della propria identità, viene esposto ai social media e alla rete attraverso gli occhi dei genitori? Questo fenomeno, definito talvolta come "sharenting" (da share e parenting), vede madri e padri postare foto e aggiornamenti sui propri figli sin dai primi momenti di vita, senza che questi abbiano la possibilità di scegliere o comprendere le implicazioni di tale esposizione. Nel mondo digitale, tutti noi indossiamo "maschere" che rappresentano parti diverse della nostra personalità: il profilo professionale su LinkedIn, le foto personali su Instagram, i commenti su Twitter, i post su Facebook e così via fino all’apoteosi dei video di giovanissimi, magari in compagnia di un genitore, su TikTok.
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Per i giovani nativi di Internet, questa molteplicità di identità è naturale, spesso un’estensione di ciò che vivono nel mondo fisico. Tuttavia, questa frammentazione può rivelarsi un serio problema in quanto inizia a un’età in cui la costruzione della propria identità è fondamentale, le molteplici personalità online possono creare confusione su chi si è realmente.
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A questo si aggiunge un altro elemento delicato: l'identità che i genitori creano per i figli sia pubblicando le loro immagini già dal primo giorno di vita (se non prima). Inoltre, gli account social dei bambini, gestiti dai genitori, finiscono per plasmare un’immagine pubblica dei giovani ancor prima che questi siano in grado di capire cosa significhi essere "online". In questo modo, senza volerlo, i genitori contribuiscono a una sovrapposizione di identità, che talvolta rispecchia più i desideri e le proiezioni degli adulti che non le caratteristiche dei bambini stessi.
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Per molti genitori, regalare a chiunque momenti della vita dei figli sui social media è una forma di condivisione e connessione. Tuttavia, spesso non si considerano i rischi legati a questa esposizione precoce. Foto, video e storie di vita quotidiana diventano parte di una narrazione digitale permanente. Ogni immagine di un bambino su Instagram, ogni post su Facebook, contribuisce alla creazione di una personalità digitale che lui o lei erediterà e dalla quale, un domani, potrebbe sentirsi oppresso o giudicato.
Inoltre, questa esposizione può attrarre attenzioni indesiderate, trasformando ciò che per il genitore è un atto banale in un pericolo potenziale.
Possono essere le aziende tecnologiche a farsi carico della responsabilità di proteggere i dati e l'immagine dei minori, garantendo che nessuno possa sfruttare o abusare della loro identità digitale. Ciò implica un controllo più rigido sull'accesso a contenuti privati, con linee guida chiare che responsabilizzino i genitori e incoraggino una condivisione più consapevole.
In questo scenario, le aziende tecnologiche, i social media e le piattaforme digitali possono assumere un ruolo fondamentale. Devono garantire che l’ambiente online sia sicuro per i più giovani, applicando criteri di digital trust, ossia un insieme di misure che protegga la privacy dei minori e monitori eventuali abusi. Questo potrebbe significare introdurre policy specifiche contro la sovraesposizione dei minori da parte degli stessi genitori, segnalare contenuti potenzialmente inappropriati, e adottare strumenti di monitoraggio per tutelare i diritti dei più piccoli.
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In un mondo dove l’identità digitale è una realtà quotidiana e complessa, il ruolo delle aziende deve essere quello di vigilare e responsabilizzare, assicurandosi che anche i genitori comprendano le implicazioni delle loro scelte online. Solo così sarà possibile creare un ambiente digitale in cui i nativi di Internet possano crescere liberi, protetti e consapevoli del proprio diritto alla privacy che è, per loro, un concetto ai limiti dell’inesistente.
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