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Protezione dati: tutto dovrebbe partire dall'utente


martedì 8 giugno 2021
di Avv. Gianni Dell'Aiuto





Le continue notizie di furti dati e attacchi hacker a singoli computer e intere piattaforme sono ormai talmente quotidiane al punto di non assurgere più agli onori della cronaca a meno che non tocchino i giganti del web e, solo in quell’occasione, la rete si indigna e mette sulla pubblica piazza del web la propria rabbia per sentirsi spiata e lamenta la mancanza di privacy. Un controsenso assoluto che rivela la mancanza di consapevolezza dell’utenza che pretende, viceversa, un assoluto rispetto della propria riservatezza da coloro che sono stati proprio da lui autorizzati a trattare i propri dati.

L’utente di Internet infatti dovrebbe essere cosciente che la navigazione in rete imporrebbe due forme di tutela dei propri dati e della propria riservatezza per garantirsi quanto più possibile da un lato dal furto e dalla perdita di dati dai propri apparati e, dall’altro, evitare che aziende e piattaforme internet facciamo un uso troppo disinvolto delle informazioni di cui sono state portate a conoscenza.

Il primo aspetto riguarda quindi un utilizzo corretto di smartphone, tablet e computer preoccupandosi non solo della loro efficienza ma anche delle connessioni e delle password. Una rete wifi non sicura e una password troppo semplice sono infatti i primi elementi che possono portare ad accessi abusivi da parte di malintenzionati, che potrebbero forse limitarsi a sottrarre e rivendere mailing list ad aziende di marketing oppure commettere furti di identità e svuotare conti correnti e fare acquisti a nome di chi non è stato attento. Password troppo semplici quali il proprio nome, la data di nascita, sequenze numeriche o della tastiera, quale qwerty, sono ancora troppo usate. I consigli da parte di esperti e dalla Polizia Postale di usare password sicure con l’uso di simboli, lettere e numeri adeguatamente alternati si perdono nel nulla.

L’altra faccia della protezione dati è quella della protezione dalle aziende o comunque dagli operatori a cui, per necessità contrattuali o per una semplice visita di un sito, mettiamo a disposizione i dati di navigazione, dati personali identificativi e, spesso, quelli fiscali, bancari e, non ultimi, quelli relativi alla salute e così via. Per questo aspetto il GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati, dovrebbe rappresentare perlomeno un argine alla richiesta di dati, spesso inutili, da parte delle pagine internet e dei loro gestori che, peraltro, purtroppo hanno ancora difficoltà a comprendere come dovrebbero applicare la normativa. Ma, in ogni caso, l’utente medio di internet, spesso distratto o frettoloso di procedere nella navigazione, meccanicamente risponde “sì” con un click alla domanda se ha letto, compreso e accettato le condizioni di navigazione e di trattamento dati. In pochissimi lo fanno e selezionano i cookie o le preferenze ed ecco che, per loro stessa responsabilità, si trovano le mail intasate di spamming e messaggi phishing che ben possono venire aperti.

Da questo quadro emergono una generalizzata mancanza di educazione digitale e la non consapevolezza dei rischi che si corrono in rete specialmente quando, non dimentichiamolo, i dati che si trovano a disposizione di malintenzionati possono essere quelli di minori o persone indifese. Infine, per chi ha figli, queste considerazioni dovrebbero essere oggetto di maggiore riflessione sia per proteggere la loro navigazione in casa che, in particolar modo, quando i più piccoli disporranno del loro primo cellulare connesso alla rete.

In tutto ciò non si è voluto toccare l’argomento sensibilissimo dei social, un mondo a cui viene letteralmente regalata l’intera esistenza di una persona e che merita capitoli a parte.

 

 




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