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giovedì 12 dicembre 2024
Di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Una scena già vista, e che vedremo ancora. Un padre pubblica sui profili social la foto del figlio infra quattordicenne avuto nel corso di una relazione e la madre, dopo avere inutilmente chiesto la rimozione dell’immagine, si rivolge al Garante.
La difesa del padre ha sostenuto il proprio diritto alla pubblicazione essendo il minore in regime di affidamento congiunto e ha sostenuto come lo avesse fatto al solo scopo di dimostrare la somiglianza con un altro figlio, nato da altra relazione e, infine, come non venissero lesi il decoro e la reputazione del minore e, comunque, l’immagine non si poneva in contrasto con la normativa.
La difesa della madre ha replicato sostenendo che, ai sensi dell’art. 320 CC, la pubblicazione di immagini di minori sui social, atto che eccede l’ordinaria amministrazione, richiede il consenso di entrambi i genitori anche in caso di affido congiunto vertendosi, oltretutto, in materia di dati sensibili. Ha poi contestato la didascalia usata (Come ho fatto a farvi uguali con due madri diverse? Boh.) per porre in evidenza la superficialità e dannosità della condotta evocando una percezione della genitorialità discriminatorio quasi che al padre dovesse riconoscersi il merito per avere generato da madri diverse figli asseritamente somiglianti.
Ha poi proseguito contestando la volontà a rendere note informazioni riguardanti la famiglia incidendo sul diritto alla riservatezza e al rispetto della vita privata della reclamante. Insomma, una piena violazione dell’art. 10 c.c., della normativa in materia di protezione dei dati personali e della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Nella propria decisione il Garante ha preso le mosse dalla circostanza che, ai fini della pubblicazione di immagini di minori sui social network, occorre il preventivo consenso di entrambi i genitori, anche laddove sia stato disposto il regime di affidamento condiviso.
Pertanto, l’Authority ha ritenuto che la pubblicazione sia avvenuta senza idonea base giuridica da parte del padre a cui è stato imposto il divieto di proseguire nell’attività di trattamento dell’immagine e lo ha sanzionato con il provvedimento dell’ammonimento, a dire una formale sanzione che, in caso di reiterazione della condotta, potrebbe portare a ben più gravi conseguenze.
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Trenta giorni il termine concesso all’uomo per comunicare al Garante le misure poste in essere per adeguarsi alla decisione emessa.
Ma, al di là della sanzione, la vicenda dovrebbe far riflettere.
È l’ennesimo episodio di una piaga che dilaga, subdola e silenziosa e una storia che si ripete, con tante altre immagini di bambini e adolescenti che, senza difesa, finiscono come merce di scambio sulle piattaforme. Non c’è famiglia che non abbia una foto del figlio, e per molti genitori la tentazione di mostrarla al mondo è irresistibile. Ma dietro a un "mi piace", dietro al commento "che bello!", si nasconde un rischio che non tutti riescono a percepire. È una questione di privacy, certo, ma è anche di responsabilità verso la generazione più vulnerabile che non può ancora difendersi.
Eppure, spesso, non ci poniamo il problema. Anzi, sembra che l'esibizionismo, questa nuova malattia dei nostri tempi, sia diventato una vera e propria ossessione. Mostrarsi, essere visti, condividere ogni singolo dettaglio della propria vita, e quella dei figli, è diventato un imperativo. Siamo entrati in un circolo vizioso, dove il confine tra il personale e il pubblico si è fatto così sottile che, alla fine, non ci accorgiamo più di quanto stiamo sacrificando sull'altare di un’apparente visibilità. E la medicina? È assente, se non nei timidi richiami di un'autorità come quella del Garante, che si limita a sanzionare, ma non a curare un malessere sociale ben più profondo.
I genitori dovrebbero fermarsi a riflettere: qual è il vero valore di un "mi piace" su una foto del figlio?
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È il caso di mercificare la sua privacy e la sua serenità in nome di una visibilità che, spesso, non porta a nulla? La sanzione arrivata al padre è un richiamo a una realtà che, purtroppo, ci sfugge: non tutto quello che possiamo fare, è giusto farlo. E se la legge non sempre riesce a fermare il flusso di immagini e condivisioni, una sana riflessione potrebbe aiutarci a comprendere meglio i rischi, prima che sia troppo tardi.
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